martedì 28 maggio 2013

Ecumenismo e dialogo interreligioso?



Ecumenismo e dialogo interreligioso




«La secolare saggezza della Chiesa ha sempre preso le distanze dalle religioni non cristiane per tutelare la fede dei suoi figli, sottraendoli al contatto, all’influsso e perfino al confronto con altri “credi”. Ciò non le impedì, ovviamente, d’assumere quanto di buono, d’onesto e di bello fosse in essi: una presenza che qualcuno spiegò, e tutt’oggi spiega, come effetto dei “semina verbi”, diffusi da Dio anche al di fuori della rivelazione cristiana. L’aver sottratto i fedeli al rapporto con le altre religioni li prevenne sempre dal pericolo dell’indifferentismo religioso, secondo il quale una religione vale altra. È questo, purtroppo, il giudizio oggi largamente diffuso fra non poche frange del popolo di Dio, frastornato, esterrefatto, meravigliato ed un po’ anche scandalizzato dallo zelo di troppi teologi e operatori pastorali nel sostenere e sottolineare gli elementi di verità delle religioni non cristiane» (B.Gherardini, Quale accordo fra Cristo e Beliar? Osservazioni teologiche sui problemi, gli equivoci ed i compromessi del dialogo interreligioso, Verona 2009, p. 48).


 
Sull’ecumenismo non si hanno le idee chiare. Esso dovrebbe intendersi come il “cammino” verso l’unità di tutti i cristiani nell’unica Chiesa voluta e fondata da Gesù, che è quella cattolica. Purtroppo non è solitamente inteso così. Questo perché esso nasce in maniera ambigua. Vediamo come.
 
L’Ecumenismo
Il cosiddetto “spirito ecumenico” si sviluppò all’interno del Protestantesimo. Il pastore John Mott, nel 1910, volle che si tenesse a Edimburgo una riunione di tutti i missionari protestanti affinché nelle terre di missione non fosse manifesta ed evidente la divisione tra i missionari cristiani. Nel 1925, il vescovo luterano Nathan Soderblom cercò di raggiungere, almeno sul piano pratico, l’unione delle diverse comunità protestanti e diede vita al cosiddetto movimento Vita e Azione. Due anni più tardi, nel 1927, l’arcivescovo episcopaliano Charles Brent, convinto che l’unione dovesse realizzarsi non solo sul piano pratico ma anche su quello dottrinale, diede vita al movimento Fede e costituzione, nel quale confluirono successivamente anche gli appartenenti al movimento Vita e azione
Fu proprio da questi due movimenti (Vita e azione e Fede e costituzione) che, nel 1948, nacque ad Amsterdam il Consiglio Ecumenico delle Chiese. A questo organismo aderirono tutte le confessioni protestanti e anglicane. Successivamente, nel 1961, nell’assemblea di Nuova Delhi, anche la Chiesa Ortodossa Russa.
Anche nella Chiesa Cattolica si “muoveva” qualcosa, soprattutto a livello di iniziative di preghiera. Nel 1908, un pastore anglicano convertitosi al Cattolicesimo, Paul Wattson, ideò l’Ottavario di preghiere per l’unità, ovvero per otto giorni cattolici e anglicani dovevano pregare insieme per la loro unità. Nel 1935, per volere di Paul Couturier, un sacerdote di Lione, questo ottavario si estese anche agli Ortodossi e ai Protestanti. Oggi si celebra dal 18 al 25 gennaio, giorno della conversione di san Paolo.
Un avvenimento significativo nel cammino ecumenico fu segnato dall’istituzione, voluta da Papa Giovanni XXIII nel 1961, del Segretariato per promuovere l’unione dei Cristiani. Fu proprio questo Segretariato ad invitare al Concilio Vaticano II osservatori delle comunità non cattoliche.
 
Un presupposto inaccettabile
Ma, per capire il perché di un diffuso malinteso sull’ecumenismo, dobbiamo tornare al Consiglio Ecumenico delle Chiese. Esso afferma una cosa che è assolutamente inaccettabile, ovvero che l’unica santa Chiesa voluta da Gesù, pur già esistendo, non si sarebbe ancora manifestata in modo visibile. Ad essere visibili sarebbero solo le tante chiese separate fra loro; e l’unità visibile dei cristiani si realizzerà per la confluenza di tutte le “chiese” cristiane in una nuova Chiesa visibile, diversa ma anche più perfetta.
Perché un’affermazione di questo tipo è inaccettabile? Perché l’unica santa Chiesa voluta e fondata da Gesù esiste già in modo visibile, ed è appunto la Chiesa Cattolica. L’unità dei cristiani va sì auspicata, ma deve realizzarsi con il riconoscimento da parte di tutte le comunità cristiane della Chiesa Cattolica e quindi della necessità di ritornare in essa. Gesù ha voluto e fondato una chiesa che fosse “visibile” a tutti fino alla fine del mondo, come la «città posta sul monte» (Mt. 5,14). Ora, se questa chiesa oggi fosse invisibile, vuol dire che Gesù ha detto il falso e che la sua missione è fallita. 
Poi ci sono i motivi costitutivi della dottrina cattolica:
1. Solo la Chiesa Cattolica ha storicamente conservato nei secoli il collegamento con Pietro.
2. Solo la Chiesa Cattolica si è conservata “Una” come Gesù promise quando disse: «un solo ovile e un solo Pastore». (Gv. 10,16) Le altre “chiese” che si sono separate dalla Chiesa Cattolica hanno subìto processi di frammentazione. In Oriente, con le cosiddette “chiese autocefale”; in Occidente, con le tantissime sètte protestanti.
3. Solo nella Chiesa Cattolica si è conservata davvero intatta la stessa dottrina. La Chiesa Ortodossa nacque intono all’XI secolo e il Prostestantesimo nel XVI secolo.           
 
Per un ecumenismo e un dialogo interreligioso legittimi
Vediamo adesso come si deve impostare correttamente tanto l’ecumenismo quanto il dialogo interreligioso. Ecumenismo e dialogo interreligioso non sono sinonimi. Il primo riguarda il dialogo tra cattolici e cristiani separati; il secondo tra cattolicesimo e religioni non-cristiane. Vi sono quattro presupposti fondamentali da cui non si può assolutamente prescindere.
                               
Primo presupposto: la Chiesa Cattolica è la Chiesa di Cristo
Nella Lumen gentium (decreto del Concilio Vaticano II), al numero 8, vi è l’affermazione secondo cui la Chiesa di Cristo sussiste (subsistit in) nella Chiesa Cattolica. E’ un’affermazione, questa, indubbiamente poco felice, se non addirittura ambigua, perché farebbe capire che non c’è una perfetta identificazione tra Chiesa di Cristo e Chiesa Cattolica. Il documento Congregazione per la dottrina della Fede, Dominus Jesus (Dichiarazione circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa), del 6 agosto 2000, ha però chiarito. Al numero 16 è infatti scritto: «Con l’espressione “subsistit”, il Concilio Vaticano II volle armonizzare due affermazioni dottrinali: da un lato che la Chiesa di Cristo, malgrado le divisioni dei cristiani, continua ad esistere pienamente soltanto nella Chiesa Cattolica, e dall’altro lato “l’esistenza di numerosi  elementi di santificazione e di verità al di fuori della sua compagine”, ovvero nelle Chiese e Comunità ecclesiastiche che non sono ancora in piena comunione con la Chiesa Cattolica. Ma riguardo a queste ultime, bisogna affermare che “il loro valore deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verità che è stata affidata alla Chiesa Cattolica”. È perciò contraria al significato autentico del testo conciliare l’interpretazione di coloro che dalla formula “subsistit in” ricavano la tesi secondo la quale l’unica Chiesa di Cristo potrebbe pure sussistere in Chiese e Comunità ecclesiali non cattoliche. Il Concilio aveva invece scelto la parola “subsistit” proprio per chiarire che esiste una sola “sussistenza” della vera Chiesa, mentre fuori della sua compagine visibile esistono solo “elementa Ecclesiae”, che – essendo elementi della stessa Chiesa – tendono e conducono verso la Chiesa Cattolica».
                                     
Secondo presupposto: La Chiesa Cattolica è la visibile Chiesa di Cristo                                                                             
Come abbiamo già avuto modo di dire: è assolutamente inaccettabile la tesi del Consiglio Ecumenico delle Chiese, secondo cui la Chiesa di Cristo ci sarebbe, ma ancora non sarebbe diventata realmente visibile. Abbiamo anche detto che se le cose stessero veramente così, sarebbe fallita la promessa di Gesù riguardo la fondazione della Chiesa. Leggiamo cosa dice Pio XII nella sua Mystici Corporis: «Si allontanano dalla verità divina coloro che immaginano la Chiesa come se non potesse raggiungersi né vedersi, quasi che fosse una cosa “pneumatica” come dicono, per la quale molte comunità di cristiani, sebbene vicendevolmente separate per fede, tuttavia sarebbero congiunte tra loro da un vincolo invisibile».
 
Terzo presupposto:  L’unità della Chiesa c’è già
Altra tesi inaccettabile è quella secondo cui l’unità della Chiesa ancora non si sarebbe realizzata. Infatti, la presenza di uomini che non accettano la Chiesa Cattolica o che da essa si sono separati non comprometterebbe l’unità della Chiesa cattolica stessa.
Questa presunta non unità della Chiesa starebbe a significare che la Verità non è unita, per cui c’è ne sarebbe un po’ di qua e un po’ di là, un po’ nella Chiesa Cattolica e un po’ al di fuori di essa. Pio XI nella Mortalium animos scrive molto chiaramente: «Poiché il Corpo mistico di Cristo, la Chiesa, è uno (1 Cor.1, 12), compatto e sottomesso (Ef. ,5) e simile al Suo corpo fisico, è una sciocchezza e una bestialità pretendere che questo Corpo mistico risulti di membra disgiunte e disperse».
Anche la stessa Dominus Iesus sembra chiarire: «La mancanza di unità tra i cristiani è certamente una “ferita” per la Chiesa; non nel senso di essere privata della sua unità, ma “in quanto la divisione è ostacolo alla realizzazione piena della sua universalità nella storia” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Lett.Communionis notio, n.17)».
 
Quarto presupposto:  il rifiuto dell’essenza del Cristianesimo
 Nella teologia cattolica del XX secolo si è fatta strada, per motivi ecumenici, l’idea di un Cristianesimo “essenziale” distinguibile da un Cristianesimo da accettare nella sua interezza.
Anche questa idea è completamente da rifiutare. Quando due persone non vanno d’accordo è da saggi proporre di pensare a ciò che è importante e di trascurare il superfluo. Le discussioni umane riguardano l’umano, e nell’ambito dell’umano si può tendere alla verità ben sapendo che è difficilissimo raggiungere la verità tutt’intera. Questo vale per le discussioni umane, ma non può e non deve valere per le questioni religiose, perché, in tal caso, non si è più nell’ambito della verità umana, ma della Verità rivelata; quindi non più del tendere verso la verità, ma della conoscenza della Verità tutt’intera.
Almeno dall’inizio del secolo XX nell’ambito di una certa teologia cattolica si è fatta strada la cosiddetta teoria dell’“essenza del Cristianesimo”. Ovvero la teoria secondo la quale il Cristianesimo sarebbe costituito da un’essenza e da elementi puramente accidentali, cioè meno importanti. Un po’come la differenza tra la bistecca e l’insalata: la bistecca è la sostanza; l’insalata, il contorno. Insomma, questa teoria afferma che il Cristianesimo avrebbe un “cuore” che lo renderebbe tale e la semplice adesione a questa “essenza” basterebbe per definirsi cristiano.
Quale lo scopo di una simile teoria? Favorire l’ecumenismo. È evidente che il dialogo con gli ortodossi e i protestanti, in tal modo, sarebbe molto più facile. Ma si tratterebbe di pura svendita e rinnegamento del patrimonio di verità del Cattolicesimo; il dialogo si deve fare nella verità non a discapito della verità.
Per capire quanto questa posizione sia sbagliata basterebbe ricordare il noto adagio: «Bonum ex integra causa, malum ex quocumque defectu». Il bene, infatti, è nell’accettare la verità tutt’intera, perché nell’ambito della verità assoluta solo l’interezza conta.
Vediamo adesso qualche citazione autorevole con cui possiamo meglio capire quanto sbagliata sia questa teoria dell’“essenza del Cristianesimo”:
1. Sant’Agostino, nel Commento al salmo 54 (precisamente al numero 19), afferma: «In molte cose (di fede) concordano con me; in alcune con me non concordano; ma per quelle poche cose in cui non convengono con me a nulla serve loro essere con me d’accordo in molte».
2. Scrive Papa Leone XIII nella sua Satis Cognitum: «Ripugna infatti alla ragione che anche in una sola cosa non si creda a Dio che parla. (…) Gli Ariani, i Montanisti, i Novaziani, i Quartodecimani, gli Eutichiani [qui Leone XIII elenca alcune famose eresie] non avevano abbandonato in tutto la dottrina cattolica, ma solo questa o quella parte; e tuttavia è cosa nota che essi sono stati dichiarati eretici ed espulsi dal seno della Chiesa (…). Tale è infatti la natura della fede che essa non può sussistere se si ammette un dogma e se ne ripudia un altro. (…) Colui che anche in un sol punto non assente alle verità da Dio rivelate, ha perduto tutta la fede, perché ricusa di sottomettersi a Dio, somma Verità e motivo proprio della fede. (…) Perciò la Chiesa, memore del suo ufficio (di custodire il deposito della fede), non si è mai con ogni zelo e sforzo tanto affaticata come nel tutelare in ogni sua parte l’integrità della fede».
3. Anche Papa Benedetto XV allude a questo errore, precisamente nella sua Ad Beatissimi Apostolorum Principis:  «Vogliamo pure che i nostri si guardino da quegli appellativi, di cui si è cominciato a fare uso recentemente per distinguere cattolici da cattolici; e procurino di evitarli non solo come “profane novità di parole”, che non corrispondono né alla verità, né alla giustizia, ma anche perché ne nascono fra i cattolici grave agitazione e grande confusione. Il cattolicesimo, in ciò che gli è essenziale, non può ammettere né il più né il meno: “Questa è la fede cattolica; chi non la crede fedelmente e fermamente non potrà essere salvo” (Symb Athanas.); o si professa intero, o non si professa assolutamente. Non vi è dunque necessità di aggiungere epiteti alla professione del cattolicesimo; a ciascuno basti dire così: “Cristiano è il mio nome, e cattolico il mio cognome”; soltanto, si studi di essere veramente tale, quale si denomina».
4. E anche il Magistero attuale ne accenna. Nell’udienza generale del 20 agosto del 1997, Giovanni Paolo II pronunciò delle parole che richiamano chiaramente la condanna di questo errore. Il Papa disse in quell’occasione: «Il Concilio esorta i fedeli a guardare a Maria, perché ne imitino la fede “verginalmente integra”, la speranza e la carità. Custodire l’integrità della fede rappresenta un compito impegnativo per la Chiesa chiamata ad una vigilanza costante, anche a costo di sacrifici e di lotte. Infatti, la fede della Chiesa è minacciata, non solo da coloro che respingono il messaggio del Vangelo, ma soprattutto da quanti, accogliendo soltanto una parte della verità rivelata, rifiutano di condividere in modo pieno l’intero patrimonio di fede della Sposa di Cristo. Tale tentazione, che troviamo sin dalle origini della Chiesa, continua purtroppo ad essere presente nella sua vita, spingendola ad accettare solo in parte la Rivelazione o a dare alla Parola di Dio un’interpretazione ristretta e personale, conforme alla mentalità dominante e ai desideri individuali. Avendo pienamente aderito alla Parola del Signore, Maria costituisce per la Chiesa un insuperabile modello di fede “verginalmente integra”, che accoglie con docilità e perseveranza tutta intera la Verità rivelata. E con la sua costante intercessione, ottiene alla Chiesa la luce della speranza e la fiamma della carità, virtù delle quali, nella sua vita terrena, è stata per tutti esempio ineguagliabile».
 

Corrado Gnerre 22 gennaio 2013

martedì 21 maggio 2013

Dal giudaismo rabbinico al giudeo-americanismo - il problema dell’ora presente -

Dal giudaismo rabbinico al giudeo-americanismo
- il problema dell’ora presente -
anno 2008 - pagine 290 - € 30
Per richiedere copie del libro rivolgersi a:
Edizioni Effepi,  effepiedizioni@hotmail.com
Via Balbi Provera 7 int. 3,  16149  Genova, tel. 338-9195220
Il libro verrà inviato in contrassegno

 
Il giudaismo rabbinico non è - in senso stretto - una religione fatta di dogmi e morale, ma piuttosto una forma di vita o una pratica storico-"religiosa". Infatti essere ebreo significa far parte razzialmente del popolo d'Israele, essendo figlio di madre ebrea; l'elemento secondario e non necessario del giudaismo attuale consiste nel riconoscersi - per chi lo vuole - nella storia (anche religiosa) del popolo ebraico.
Il giudaismo rabbinico non è la religione mosaica o vetero-testamentaria, esso si fonda non sull'Antico Testamento (Legge e Profeti) ma sul Talmùd, secondo cui Israele è il popolo santo che deve salvare e dominare il mondo. A questo popolo Dio ha dato una terra che è santa non in se stessa, ma solo in relazione al popolo eletto, il quale la possiede in potenza o in atto. Il giudaismo rabbinico, quindi è essenzialmente e virtualmente sionista.
La questione giudaico-americana consiste nel fatto che il Nuovo Mondo fu coloniz-zato, principalmente, da Olanda e Inghilterra e dai loro dissidenti religiosi o calvi-nisti estremisti e radicali. Essi si dicevano "lontani dalla vecchia Europa", come Luterò si voleva "lontano da Roma", infatti per i calvinisti americani anche il pro-testantesimo classico o luteranesimo europeo (che ammetteva ancora la SS. Trinità e la divinità di Gesù Cristo) era intollerabile. I protestanti del Nuovo Mondo si pre-sentavano come la "Nuova Gerusalemme". Infatti, calvinismo antitrinitario, mas-soneria e giudaismo sono le tré componenti principali dell'americanismo, come tale l'America (e il giudaismo, di cui gli Usa sono la seconda "Terra Santa") è essenzialmente distinta dall'Europa. In effetti la filosofia americana è antimetafisica e quindi anti greco-romana, la politica è massonica e filosionista.
L’Europa rifiorirà solo se tornerà alle sue radici (metafisica greca, patristica e scolastica) ed eviterà i due scogli che la minacciano: l’americanismo e l’invasione islamista, ritrovando la sua vera identità che non consiste nell’imitare le mode americane le quali ci hanno invaso da circa mezzo secolo, come i musulmani ci stanno occupando da circa un decennio.
Come si vede il giudeo-americanismo, più profondamente anche se – forse – meno evidentemente dell’Islàm (dacché il risveglio integralista musulmano è stato in gran parte dovuto all’aggressione che ha subito la Palestina e paesi limitrofi dall’americanismo-americanizzante e dal sionismo) è il vero e scatenante problema dell’ora presente: esso con l’attuale politica americana ci ha portati sull’orlo di un immane conflitto nucleare che è una spada di Damocle la quale pende sul nostro capo.
Questi sono i principali temi trattati nel presente libro.
d. Curzio Nitoglia
 

domenica 19 maggio 2013

L'OLOCAUSTO ( Pio XII e l'olocausto )

DON CURZIO NITOGLIA

In questo articolo voglio fornire ai lettori cattolici le indicazioni storiche su tale avvenimento, poiché di esse ci si serve teologicamente (a partire da Jules Isaac) per potare avanti le novità dottrinali (“Nostra Aetate”, 1965) e liturgiche (Preghiera del Venerdì Santo, del Messale riformato da Paolo VI nel 1970) iniziate col Vaticano II e continuate nel ‘post-concilio’.
È soltanto per questo motivo, puramente religioso e teologico, che parlo di questo problema, che tanto disordine e male ha introdotto nell’ambiente ecclesiale. Per nulla animato da spirito polemico, partitico, ‘politico’ o di odio razziale, mi permetto di scrivere queste righe, sperando che illuminino i lettori cattolici e facciano riflettere anche gli israeliti, infatti la loro reazione, qualora fosse sproporzionata e ‘arrogante’, li potrebbe rendere di nuovo invisi in ambiente cattolico. Il celebre scrittore israelita bernard lazare (L’antisemitisme son histoire et ses causes, [1849] Documents et Témoignages, rist. Vienne, 1969) ha scritto che “gli ebrei, almeno in parte, hanno causato i loro mali” (p. 12) e che “la causa delle persecuzioni contro il giudaismo va ricercata proprio nello spirito del Talmud e non nel comportamento dei popoli ospitanti” (p. 14).
Speriamo che queste righe portino luce alle menti e pace nei cuori.

Pio XII e l’olocausto 
Pio XII è stato accusato, a partire dal 1963, di essere stato filo-hitleriano, di aver taciuto, di fronte alla ‘shoah’, tale accusa è stata ripresa con forza da ambienti israelitici per chiedere a Benedetto XVI di non beatificare papa Pacelli. Una buona difesa di Pio XII è stata fatta da uno storico social-comunista francese, Paul Rassinier (L’opération “Vicarie”. Le rôle de Pie XII devant l’Histoire, Paris, La Table Ronde, 1965). Lo storico francese è stato membro della resistenza anti-tedesca ed è stato internato in un campo di concentramento, torturato dalla Gestapo e reso invalido al 95 %. Tuttavia ha avuto il coraggio di scrivere la verità: «L’azione di Pio XII non era ispirata unicamente agli interessi della Chiesa, contrariamente a ciò che si vuol far credere, e gli ebrei non erano esclusi dalla sua sollecitudine» (Ibidem, p. 19). Sino al 20 febbraio 1963, giorno in cui un regista protestante Hochhuth, mise in scena una “commedia” intitolata “Il Vicario”, fortemente denigratoria di Pacelli, i personaggi più in vista del mondo ebraico, avevano lodato pubblicamente papa Pacelli, per la sua azione – durante il conflitto – in favore degli ebrei. Ma a partire dal 1963 i primi a divulgare la “commedia” di Hochhuth furono proprio il “Movimento Sionista Mondiale” appoggiato dallo Stato d’Israele (Ibidem, p. 15). Mentre Hochhuth da buon protestante, per odio al Papato, asseriva che Pio XII non avendo parlato esplicitamente dell’Olocausto di sei milioni di ebrei, si era macchiato di “crimini contro l’umanità”, Rassinier, agnostico e non animato da odio anti-papista, Pio XII era intervenuto «per salvare la pace di tutti» (Ivi). Sarebbe stato, quindi, altamente sconveniente che il Papa avesse parlato solo o specialmente a favore degli israeliti, trascurando e mettendo in secondo piano gli altri uomini che hanno sofferto terribilmente le conseguenze della seconda guerra mondiale, si pensi agli otto milioni di tedeschi. Rassinier vede nel «tentare tutto contro la guerra, senza abbandonare il resto dell’umanità a se stessa, pensando ai soli ebrei » (Ibidem, p. 23), la grandezza di Pio XII. Invece l’ebraismo internazionale gli rimprovera soprattutto questo. Dunque il Papa comprese la salvezza degli israeliti in quella di tutti gli uomini, di ogni razza e religione, come Pastore universale (cattolico) del genere umano. Egli non ha mai voluto prendere parte per uno dei belligeranti contro l’altro, anche sotto minaccia, prima del nazional-socialismo e poi dell’anglo-americanismo.
L’entità della persecuzione anti-ebraica
Esiste un documento (telegramma) scritto da Harold Tittmann, collaboratore di Myron Taylor, rappresentante personale del presidente americano Roosvelt presso la S. Sede, spedito il 5 gennaio 1943, in cui si legge: «Pio XII, mi ha detto che temeva che i rapporti sulle atrocità segnalategli dagli Alleati, fossero fondati, ma mi ha fatto capire  che pensava potessero essere esagerati per scopi di propaganda bellica» (Documenti diplomatici del Dipartimento di Stato, sulla seconda guerra mondiale, serie II).
Anche lo storico israelita George Mosse deve ammettere che:«Chi affermava la realtà dello sterminio non era creduto […]. Pio XII disse: “fornitemi una documentazione completa sui fatti, e non esiterò a condannare lo sterminio degli ebrei”. Naturalmente nessuno era in grado di fornire una tale documentazione» (Intervista sul nazismo, Milano, Mondatori, 1992, p. 76).
Il pericolo di una difesa “incompleta” di Pio XII
I cattolici, spinti da una sorta di complesso di inferiorità, cercano di difendere, timidamente, Pacelli sostenendo che se avesse parlato avrebbe peggiorato la situazione. Rassinier, invece, dice che il Papa voleva salvare tutti e non solo una parte (fossero ebrei o no). Inoltre egli, giustamente, parlava solo davanti a notizie certe.
Ancora oggi, le prove certe della volontà di sterminio fisico degli ebrei, da parte del III Reich germanico non ci sono. Ci sono solo affermazioni di espulsione (soluzione definitiva geografica e non fisica del problema ebraico). Nel 1960 il dottor Kubovy del Centro di documentazione di Tel-Aviv doveva ammettere che non si trovava alcun documento, firmato da Hitler, Himmler o Heydrich, che parli di sterminio fisico degli ebrei. Nel 1981 Laqueur (Le terribile secret, Francoforte, 1981, p. 190) scriveva: «sino ad oggi non si è trovato alcun ordine scritto di Hitler per eliminare la comunità ebraica europea». La scrittrice israelita Hanna Arendt, nel suo libro Eichman à Jérusalem scrive «in aprile 1944, due mesi prima dello sbarco in Normandia, vi erano ancora 250 mila ebrei nella  Francia occupata dai tedeschi e tutti sono sopravvissuti» (p.270). Addirittura nell’aprile 1944, Eichmann propose al delegato sionista Brandt lo scambio di un milione di ebrei in cambio di 10 mila camion (Bauer, Juifs à vendre, Paris, Liana Levi, 1996, pp. 227-229), ma lo scambio venne rifiutato.
La questione spinosa delle “camere a gas” e dei “forni crematori”
Nessuno storico nega l’esistenza di campi da concentramento o da lavoro tedeschi (come pure di ogni altra nazione belligerante). È altresì certo che vi furono delle deportazioni di ebrei (come di altri prigionieri di guerra), naturalmente sono stati maltrattati, come ogni internato in campo di prigionia, più di qualcuno è stato malmenato sino alla morte, quando non aveva più la forza di lavorare, il che è un delitto. Ma la questione capitale, è quella se vi siano state delle camere a gas o forni crematori, per uccidere sei milioni di ebrei. Roger Garaudy, internato per 33 mesi in un campo di concentramento tedesco, ha chiesto un dibattito scientifico per appurare la verità, senza negare o affermare nulla ‘a priori’. Il Garaudy scrive: «ho notato che l’unico film presentato ai giudici del tribunale di Norimberga rappresentava la camera a gas di Dachau che (…) non fu mai terminata e quindi mai funzionante. (..) È possibile che si tratti di una montatura fabbricata dai servizi americani operanti a Dachau (…). Ciò non implica necessariamente la negazione dell’esistenza di qualsiasi camera a gas, quindi non arrivo a tale negazione. Domando soltanto un dibattito scientifico e pubblico per stabilire definitivamente quale fosse l’arma del delitto» (I miti fondatori della politica israeliana, Genova, Graphos, 1997, p. 108). Il filosofo francese continua «più di un terzo  degli ebrei, scomparsi dall’Europa – secondo il Reitlinger – morì non di violenza fisica diretta ma di lavori forzati, di malattie, di fame, di mancanza di cure mediche. La diversità di questi diversi metodi di assassinio, dei quali non affermo né nego nessuno, esige un grande sforzo di ricerca» (I miti fondatori…, pp. 108-112).
Quello che è importante da un punto di vista teologico è che la neo-religione laica dell’ “olocaustismo ebraico” tende a rimpiazzare l’Olocausto di Gesù Salvatore dell’umanità. Ora siccome l’ “olocaustismo ebraico” deve essere provato, cerchiamo di chiedere, gentilmente ma fermamente, le prove del supposto sterminio fisico totale (tramite gas o crematori) del popolo ebraico europeo, né più né meno come fece Pio XII.
In base all’ “olocaustismo” si chiede (teologicamente) di non beatificare Pio XII perché ha taciuto sulla “shoah”, di non promulgare il Messale Romano del 1962, poiché contiene una preghiera anti-semita. Come si vede il mito dell’ “olocausto” è un’arma non solo politica per la fondazione e il mantenimento dello Stato d’Israele (cfr. ariel toaff, Ebraismo virtuale, Milano, Rizzoli, 2008); economica per ottenere finanziamenti (cfr. normann finkelstein, L’industria dell’olocausto, Milano, Rizzoli, 2002) per le organizzazioni dei “cacciatori di nazisti”; di ricatto per poter bombardare col fosforo bianco i Palestinesi, ma anche “teologica” per sminuire il cristianesimo e innalzare l’ebraismo. È, quindi, nostro dovere sacerdotale difendere l’Olocausto di Gesù vero Redentore soprannaturale dell’uomo e rivisitare, mettendo al suo reale posto storico e contingente, la “shoah”. L’olocausto è l’unica “religione” (laica) di Stato ad essere protetta e garantita dal braccio secolare: nessuno è punito se bestemmia Cristo, ma se si opina sulla reale entità dell’olocausto ebraico si finisce in galera.
Vi è, addirittura, una corrente “a-teologica” sviluppatasi dopo e secondo la “shoah”, la quale nega l’onnipotenza, la provvidenza e anche l’esistenza di Dio, poiché non è intervenuto e ha taciuto (come il suo Vicario in terra, papa Pacelli) durante l’olocausto, essa è stata portata avanti da pensatori israeliti hans jonas (Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica, Genova, Il Melangolo, 1989) e protestanti johan baptist metz (Cristiani ed ebrei dopo Auschwitz, Brescia, Queriniana, 1981). Quindi – in quanto “Quindicinale cattolico antimodernista” - non possiamo non prendere posizione di fronte all’olocausto, poiché esso è tirato in ballo per negare, niente po’ po’ di meno che, l’esistenza di Dio. Non si può ignorare il problema, anche, anzi specialmente, dal punto di vista religioso.
Lo storico tedesco Ernest Nolte stigmatizza la tendenza di coloro che accusano di antisemitismo o “negazionismo” (negazione assoluta di ogni persecuzione degli ebrei da parte nazista) e ammette il fondamento di scientificità storica del “revisionismo” (rivisitare le fonti e i documenti riguardanti la “shoah” , per giungere ad una valutazione oggettiva, serena e meno emotiva o ‘interessata’ della sua entità). Egli scrive che: «L’intensificazione della tesi dell’unicità della ‘shoah’ (…) potrebbe, un giorno (…) avere per conseguenza il contrario esatto di ciò che viene perseguito» (Controversie. Nazionalsocialismo, bolscevismo, questione ebraica nella storia del Novecento, Milano, Corbaccio, 1999, p. 17). Egli continua «è possibile che [Hitler]. Pensasse alla ‘soluzione finale territoriale’ (…). Tuttavia, sino all’ottobre del 1941 l’emigrazione degli ebrei tedeschi fu permessa» (Ibidem, p. 30). Perciò »l’opinione diffusa che qualsiasi dubbio sull’olocausto e i sei milioni di vittime debba venir considerato come (…) un atteggiamento malvagio, disumano e da proibire, non può assolutamente essere accettato dalla scienza» (ibidem, pp. 56-57). Inoltre lo stesso Nolte spiega che: «In un telegramma di Gerhard Rieger, rappresentante del World Jewish Congress a Ginevra, il numero complessivo degli ebrei che si trovavano sotto la giurisdizione tedesca viene stimato tra i 3,5 e i 4 milioni circa» (Ibidem, p62). Quindi la cifra dei sei milioni, che è diventata un “dogma”, andrebbe rivisitata.
Certamente, l’uccisione di un innocente è sempre un crimine, onde l’odio e la violenza fisica contro un ebreo in quanto ebreo è un delitto inaccettabile, ma anche la sacralizzazione, l’assolutizzazione, la mitizzazione della persecuzione degli ebrei, quasi fosse un “unicum aeternum” è una forzatura, che si rivela, infine, per l’eterogenesi dei fini, controproducente. L’ambasciatore Sergio Romano scrive «la regola secondo cui ogni fatto storico è costretto, prima o poi, a passare in seconda fila, soffre di un’eccezione. Vi è un avvenimento – il genocidio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale – che diventa col passar degli anni sempre più visibile, incombente ed ingombrante» (Lettera a un amico ebreo, Milano, Longanesi, 1997, p. 15).
Conclusione
Si parla tanto di “dialogo”, “anti-inquisizione”, “tolleranza”, “libertà di pensiero”, ma guai solo a chiedersi se, storicamente, la persecuzione che gli ebrei europei hanno realmente subito nel 1942-45, sia stata quella dello sterminio totale, fisico, tramite ‘camere a gas’ e ‘forni crematori’. Anzi si son fatte fare delle leggi “inquisitorie” che proibiscono persino di porsi tale domanda, sotto pena di incarcerazione. Infine ci serve di tale “dogma” per scopi politici, economici, bellici e persino teologici, negando Dio e ingiungendo al Papa di fare o non fare questo o quello, in nome dell’antisemitismo e della ‘shoah’.
 
don Curzio Nitoglia
31 gennaio 2009

DON CURZIO - Il Vaticano II e la “menzogna” del Giudeo-Cristianesimo


di



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Prologo
È uscito recentemente in italiano un interessante libro del rabbino Jacob Neusner[1] (del quale già ci occupammo in sì sì no no, *), risalente in lingua inglese al 1991 (Jews and Cristians. The Myth of a Commun Tradition), sui rapporti tra giudaismo e cristianesimo. È decisamente un libro controcorrente, poiché sostiene e prova che «tra ebraismo e cristianesimo […] non esiste ora né è mai esistito un dialogo. Il concetto di una tradizione ebraico-cristiana […] è solo un mito nel senso peggiore: una menzogna»[2].
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●Secondo l’Autore, le due religioni «non condividono temi comuni» e «se la Scrittura può fornire una base comune, ha condotto soltanto alla divisione, poiché l’Antico Testamento serve al cristianesimo solo in quanto prefigurazione del Nuovo, e la Torah scritta per l’ebraismo può e deve essere letta solo nell’ottica di adempimento e completamento compiuti dalla Torah orale [Cabala e Talmud messi solo in un secondo tempo per iscritto, ndr]»[3]. Infatti, «i cristiani comunemente suppongono che l’ebraismo sia la religione dell’Antico Testamento, ma ciò è vero solo in parte, perciò completamente falso. […] Il cristianesimo fa appello all’Antico Testamento, in dialettica col Nuovo, come parte della Bibbia; l’ebraismo si richiama alla Torah scritta in dialettica con quella orale [Cabala e Talmud]»[4].
●Egli definisce il rapporto tra le due religioni come «gente diversa [rabbini e vescovi], che parla di cose diverse [Israele e Cristo] a gente diversa [ebrei e cristiani]»[5]. Anzi conclude: «non esiste ora, né mai è esistita, una tradizione ebraico-cristiana»[6]. Infatti il cristianesimo si occupa della salvezza, che riguarda l’intera umanità, mentre il giudaismo della santificazione della Nazione di Israele[7]. Il Neusner, con molta onestà intellettuale e chiarezza, parla di «autonomia del cristianesimo e della sua unicità e assolutezza»[8]. Sfata la teoria secondo cui il cristianesimo sarebbe un giudaismo riformato, analogamente al rapporto che intercorre tra protestantesimo e cattolicesimo: «Il nostro secolo è stato testimone di un errore teologico fondamentale […]. Parlando apertamente, si tratta, per di più, di un errore protestante. L’errore teologico fu quello di presentare il cristianesimo come una riforma storica, una continuazione dell’ebraismo»[9]. Tale errore è ascrivibile oltre che al protestantesimo, anche all’esegesi modernizzante e modernistica del XX secolo e la sua conseguenza è stata deleteria per la dottrina cattolica. Infatti, stando così le cose, «i cristiani […], si trovarono in una posizione subordinata […], diventando non il vero Israele […], ma semplicemente un Israele per difetto, cioè, per difetto del vecchio Israele»[10]. In breve, una sorta di fratello minore e minorato. La teologia cristiana giudaizzante, di origine luterana, presentava il nuovo protestantesimo come un vecchio cattolicesimo riformato e il vero cristianesimo delle origini come un vecchio giudaismo riformato. Per cui la nuova teologia modernista e neo-modernista, canonizzata da Nostra aetate, riprendendo l’errore esegetico-teologico luterano, presenta «la vita di Gesù in linea con l’ebraismo del suo tempo e la salvezza di Cristo come un evento interno all’ebraismo del I secolo»[11]. Onde, per capire Gesù e il Vangelo, ci si è messi ad interrogare il Talmud e i rabbi[12]; mentre la dottrina tradizionale dei Padri ecclesiastici e del Magistero costante della Chiesa, insegnava che “nell’Antico Testamento è già nascosto il Nuovo e nel Nuovo Testamento appare chiaro il significato dell’Antico” (S. Agostino, Quaest., in Hept., II, 73). ●L’Autore, spiega, che l’ambiente cattolico fu contaminato da tale tendenza dopo la tragedia della seconda guerra mondiale e una certa valutazione data del nazionalsocialismo, per cui si insisteva «sull’eredità ebraica della Chiesa e del cristianesimo […], tenendo conto della tragedia del cristianesimo nella civilizzazione dell’Europa cristiana, pervertita dal nazismo. […] Tutti erano animati da buone intenzioni […]. Ma il risultato è una lettura non cristiana del Nuovo Testamento»[13]. Onde, in altra sede, occorrerà approfondire il problema del condizionamento psicologico subìto dall’ambiente cattolico dopo la seconda grande guerra e specialmente dopo la shoah, che ha portato a leggere il Nuovo testamento in maniera non cristiana, ma giudaizzante[14]. Infatti, se si astrae da queste premesse storico-teologiche, non si riesce a capire ciò che è avvenuto durante il Vaticano II e il post-concilio. Il fatto, et contra factum non valet argumentum, è che la lettura o l’ermeneutica modernizzante, come quella luterana, del Nuovo Testamento “non è cristiana”. In quanto «fa appello alle fonti ebraiche, […] tale ermeneutica deriva dalla teologia di un cristianesimo come continuazione e puro miglioramento dell’ebraismo»[15]. Invece il Cristianesimo è qualcosa di unico, assoluto, autonomo e non è per nulla una riforma dell’ebraismo. ●L’Autore rigetta totalmente la dottrina secondo cui «Gesù era ebreo e dunque, per capire il cristianesimo, i cristiani debbono venire a patti con l’ebraismo»[16]. Il vero cristianesimo è quello che «può cogliere se stesso come lo coglievano i Padri della Chiesa, come nuovo e non contingente, […] non come subordinato all’ebraismo. […] Ebraismo e cristianesimo sono religioni del tutto differenti e con poco in comune»[17]. Per il cristianesimo Dio è uno nella natura, ma Trino nelle Persone e Gesù è Dio incarnatosi nel seno della SS. Vergine Maria; mentre il giudaismo non ha accettato tale Vangelo o Buona Novella apportata da Cristo e dai suoi Apostoli e continua a negare SS. Trinità e divinità di Cristo, fondandosi sulla santità di Israele come famiglia carnale discendente geneticamente da Abramo. Il Neusner conviene che se il cristianesimo è un unico anche l’ebraismo si ritiene tale, onde conclude sull’inutilità del dialogo tra due religioni diametralmente opposte, anche se fondate – in parte – su una base semi-comune: l’Antico Testamento, che, però, è letto dal giudaismo alla luce del Talmud, ritenuto più importante della Torah[18], mentre dal cristianesimo è studiato alla luce del Nuovo Testamento. Per cui «non possiamo riferirci alla Bibbia quando parliamo di ebraismo»[19]. Addirittura il rabbino americano non nasconde che «il cristianesimo non è tale perché ha migliorato l’ebraismo […]. Ma perché costituisce un sistema religioso autonomo, assoluto, unico. […], ebraismo e cristianesimo sono due religioni del tutto diverse»[20]. Viva la faccia della sincerità e abbasso la menzogna dell’ecumenismo giudaico-cristiano, che è la “quadratura del cerchio” o la “coincidentia oppositorum” fatta “Congregazione permanente”.
●Il problema centrale, secondo il Neusner, non è quello delle “radici comuni”, che poi sfaterà e ne parleremo oltre, ma quello della divinità di Gesù Cristo. Infatti, si chiede onestamente il rabbino, «Gesù è il Cristo? Se è così allora l’ebraismo cade. Se non è così, allora, il cristianesimo sbaglia»[21]. Egli cita Eusebio da Cesarea (tr. it., Storia ecclesiastica, Milano, Rusconi, 1979), S. Giovanni Crisostomo (tr. it., Omelie contro i giudei, Verrua Savoia, CLS, 1997), il quale ultimo parlava di “regressione cristiana al giudaismo” di quei cristiani che frequentavano ancora le sinagoghe e i culti ebraici ad Antiochia tra il 386-387, ossia di “ritorno all’infedeltà giudaico-talmudica”. La stessa accusa mossa nel IV secolo dal Crisostomo ai giudaizzanti di Antiochia la si potrebbe rivolgere oggi ai giudaizzanti del Vaticano II (Nostra aetate, 1965) e del post-concilio (Preghiera del Venerdì Santo, del Novus Ordo Missae di Paolo VI, 1970; L’Antica Alleanza mai revocata, di Giovanni Paolo II a Magonza nel 1981; gli Ebrei nostri fratelli maggiori e prediletti nella fede di Abramo, Giovanni Paolo II nel 1986; sino al Discorso alla sinagoga di Roma, di Benedetto XVI, 17 gennaio 2010). Tertium non datur: se Cristo è Dio, l’ebraismo cade; se non è Dio, abbiamo sbagliato noi cristiani per duemila anni, dovremmo riconoscerlo pubblicamente, chiedere perdono a Dio e agli uomini ed infine farci ‘proseliti della porta’ o ‘noachidi’ (v. Elia Benamozegh e Aimé Pallière, cfr. sì sì no no, * * ). Il dialogo giudaico-cristiano è inutile, dannoso, ingiurioso, falso e menzognero. Lo dice anche rabbi Jacob Neusner. Egli concorda col Crisostomo solo quanto al fatto che il giudeo-cristianesimo o il giudaizzare, per i cristiani, è un «atto di apostasia, incredulità e rifiuto di Dio [Cristo]»[22]. Il Crisostomo temeva, giustamente, che i cristiani di Antiochia si mostrassero «cedevoli riguardo all’ebraismo»[23]. La stessa apprensione, et multo magis, la dimostra il Neusner per rapporto al dialogo giudaico-cristiano, in cui la religione cristiana non si considera più per quello che è, ma per una pseudo-riforma proto-luterana del giudaismo. Alla dottrina cristiana tradizionale secondo la quale Cristo è Dio ed ha previsto nel 33 la distruzione di Gerusalemme e del suo Tempio, previsione avveratasi nel 70, l’ebraismo rispondeva nel IV secolo, per bocca dei suoi saggi o rabbini, che Roma divenuta cristiana nel IV secolo è il penultimo Impero dopo Babilonia, Media, Grecia e che sarà seguito da quello di Israele, l’ultimo e definitivo, come famiglia genetica di Abramo, che darà la morte alla Roma prima pagana e poi cristiana, essendo “il carattere di Roma precipuamente cristiano[24]: «I saggi [o rabbini] affermano che Israele secondo la carne […] permane in uno stato incondizionato e perenne. Non si smette mai di essere figli [fisici] e figlie dei propri genitori. Così Israele secondo la carne costituisce la famiglia, nella sua forma più fisica, di Abramo, Isacco e Giacobbe […]: la totale e completa ‘geneaoligizzazione’ di Israele»[25], come si vede, è una questione genetica o di stirpe: chi parla di “razza”, stirpe, sangue e suolo è il giudaismo rabbinico, e non – come vorrebbero gli “anti-scemiti” – il cristianesimo. Per tanto si evince quanto sciocca sia l’accusa di antisemitismo mossa alla Chiesa da taluni emeriti tromboni, spinti da certuni stolidi sedicenti volponi.
●«Israele provocherà la caduta di Roma [ex pagana e poi con Costantino cristiana, 313]»[26]. Dunque, per i rabbini, Israele non è finito, ma soppianterà Roma e il cristianesimo. Secondo l’Autore, la caduta di Gerusalemme fu causata dall’arroganza dei giudei zeloti del I secolo, i quali, specialmente con Bar Kobà, rifiutarono di abbandonarsi alla provvidenza divina e vollero edificare un Regno d’Israele con le loro forze naturali e politico-militari. Tale arroganza provocò da parte divina l’abbandono di Israele nelle mani di Roma, la quale da pagana si fece poi cristiana e nel IV secolo sembrò che il cristianesimo romano avesse trionfato sul giudaismo[27]. Ma l’apocalittica ebraica[28], rinviando alla fine degli ultimi tempi la riscossa e restaurazione del regno d’Israele, ha cercato di ribaltare tale ‘teologia della storia’ cristiana. Ora, la stessa situazione si è venuta a creare con la nascita dello Stato di Israele ad opera della politica e delle armi e non del Messia ebraico e quindi, anche per i rabbini ortodossi odierni, il sionismo rappresenta una minaccia per Israele, come avvenne nel 70. Pure questo tema meriterà di essere approfondito in un prossimo articolo.
●Anche la considerazione che Neusner fa sull’islam, in tempi di arabo-fobia e di radici europee giudaico-cristiane ed anti-islamiche, sono interessanti, profonde e coraggiose. Infatti, egli scrive: «Come sappiamo che [nonostante l’apparente trionfo del cristianesimo, con gli imperatori romano-cristiani, a partire da Costantino e Teodosio] vinse l’ebraismo dei saggi [o rabbinico-talmudico]? Perché quando, a sua volta, vinse l’islam [VII-VIII secolo] il cristianesimo si ritirò dal Medio Oriente e dal Nord Africa. Senza dubbio il cristianesimo resistette, ma non come la religione maggioritaria del Medio Oriente romano e del Nord Africa […]. Ma il carattere islamico del vicino e del Medio Oriente e del Nord Africa ci racconta la storia di quanto avvenne realmente: una disfatta per il cristianesimo […] La croce avrebbe regnato solo dove non si trovavano l’islam e il suo potere militare»[29]. Micahael Brenner, professore di ‘Storia e Cultura ebraica’ all’Università di Monaco in Breve storia degli ebrei, (Roma, Donzelli, 2009) scrive: «Fu il viaggio di un non-ebreo [Maometto] a dare il via alla più grande trasformazione della società ebraica dopo la distruzione del secondo Tempio. Quando Maometto nell’anno 622 si trasferì dalla Mecca a Yathrib (Medina) iniziò la marcia trionfale dell’Islàm. Tra il VII e il XIII secolo quasi il 90% degli ebrei viveva in territori islamici […]. Un tempo sparsi su diversi Stati e regni, essi si trovavano adesso uniti sotto il dominio musulmano […]. L’autorevolezza pressoché universale che […] vennero ad assumere il Talmùd e i rabbini dipese anche da quelle condizioni politiche, che resero possibile una “standardizzazione” dell’ebraismo. Alcune delle famiglie di Medina che accolsero Maometto appartenevano alle tribù ebraiche stanziate sulla penisola araba […]. Alcuni elementi della tradizione ebraica, al pari di quelle delle tradizioni [ereticali e gnosticizzanti] dei cristiani che vivevano nella regione, erano entrati a far parte della cultura dell’area. Non meraviglia quindi che Maometto […], conoscesse  non solo le narrazioni bibliche, ma anche le interpretazioni ebraiche e cristiane [gnosticheggianti] della Bibbia»[30]. Brenner spiega poi il motivo della rottura tra Islàm e giudaismo e/o gnosticismo cristiano orientale così: «tuttavia [Maometto] aveva sperato che gli ebrei avrebbero accettato la sua nuova religione. Ma il rifiuto della maggior parte di loro […] portò ad un conflitto militare»[31]. I contrasti teologici tra islamismo e giudaismo furono meno forti di quelli tra cristianesimo ortodosso ed ebraismo «il Corano non aveva soppiantato il Vecchio Testamento [il Vangelo sì], i musulmani non si consideravano i “nuovi” ebrei [o il “verus Israel”] ed era assente [nell’islamismo] la cruciale accusa di ‘deicidio’ […]. Non stupisce che molti ebrei salutarono come liberatori i conquistatori musulmani dei territori dell’impero romano, già cristiani»[32]. In breve, mentre tra cristianesimo e giudaismo vi è un conflitto teologico radicale, non così tra quest’ultimo e l’islamismo, tale conflitto fu un frutto dell’orgoglio arabo di Maometto, ferito dal rifiuto degli ebrei della sua dottrina molto simile alla loro, ma principalmente anche se non esclusivamente, per gli Arabi. Inoltre nel mondo musulmano «non esistevano istituzioni analoghe  alle corporazioni cristiane che escludevano gli ebrei […], la situazione di “stranieri” tipica per gli ebrei nel medioevo non esisteva nel mondo islamico»[33]. Perciò l’attuale “conflitto di civiltà”, voluto dagli Usa e da Israele è uno scontro con il ‘mondo arabo’, in quanto non ancora liberalizzato e illuminato dalla modernità occidentale, e per nulla un distanziarsi dall’islamismo, che in sé è visto con simpatia, in quanto argine al cristianesimo tradizionale e non giudaizzante (v. sì sì no no, * *).
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Conclusione
Tale lettura dovrebbe ridarci, in tempi per noi così tristi, l’orgoglio di essere totalmente e integralmente cristiani o cattolico-romani. Le radici ebraico-cristiano/romane sono una menzogna. Si può, invece, parlare di radici comuni ebraico-calviniste o Usa/israeliane (v. sì sì no no, * *). Il giudaismo è completato dal Talmud, il cristianesimo romano dal Nuovo Testamento, così come lo leggono i Padri della Chiesa e lo ha sistematizzato la Scolastica. L’ebraismo non è la Bibbia, ma il Talmudismo rabbinico. Attualmente, con il Vaticano II assistiamo ad un tentativo di protestantizzazione della Chiesa, che con la “Collegialità” ha fatto proprio l’odio luterano per il primato del Papa, con la “Libertà religiosa” l’odio contro l’unica vera religione fondata da Dio Figlio e con l’“Ecumenismo” l’odio per l’intolleranza dottrinale della Chiesa romana ed infine con la pseudo-“Riforma liturgica”, fatta assieme ai calvinisti, ha prodotto un rito oggettivamente[34] ibrido o un incrocio bastardo (il Novus Ordo Missae di Paolo VI) tra due riti essenzialmente diversi, quello protestantico e cattolico. Tale protestantizzazione è il fine prossimo; quello remoto è la giudaizzazione. Infatti, l’ermeneutica luterana porta ad una lettura a-cristiana e filo-giudaizzante della Torà. Perciò lungi dal cedere al dialogo, in posizione di inferiorità o “minoranza-minorata” verso i “fratelli maggiori”, dobbiamo rivendicare il valore assoluto, unico e autonomo del cristianesimo petrino o romano. Siccome Cristo è Dio, e ce lo ha provato con la sua Risurrezione, il dialogo inter-religioso giudaico-cristiano è un “regredire al talmudismo”, “un’apostasia o incredulità”, in quanto rifiuto implicito di Dio Figlio e quindi di Dio Padre e Spirito Santo, in breve un “tornare al vomito”.
●Purtroppo, tale dialogo è condotto, dopo Giovanni Paolo II, anche da Benedetto XVI, il quale nel suo libro Molte religioni un’unica Alleanza: Il rapporto ebrei cristiani. Il dialogo delle religioni (Cinisello Balsamo, San Paolo, [1998], tr. it., 2007) scrive che: «Dopo Auschwitz il compito della riconciliazione e dell’accoglienza si è ripresentato davanti a noi in tutta la sua imprescindibile necessità»[35]. Poi citando Gv. IV, 22 «la salvezza viene dai giudei», pronunciata da Gesù prima della sua Morte in croce e quindi durante l’Antica Alleanza, afferma che «tale origine mantiene vivo il suo valore nel presente [dopo la morte di Cristo, nella Nuova ed Eterna Alleanza]»[36]. Tuttavia, «non vi può essere accesso a Gesù […], senza l’accettazione del Nuovo Testamento»[37]. Onde per gli ebrei la salvezza viene da Israele e il Talmud, mentre per i Gentili convertiti al cristianesimo viene da Cristo e il Nuovo Testamento. L’Antica Alleanza, anche secondo Benedetto XVI, non è mai cessata (cfr. Giovanni Paolo II, L’Antica Alleanza mai revocata, Magonza, 1981), in quanto “Alleanza” significa solo volontà divina e non un contratto bi-partito[38]. Onde, anche se Israele è stato infedele a Dio, Dio non può scindere l’Alleanza, poiché non è “un accordo reciproco”[39], per cui Deus non  deserit etiam si prius deseratur. È triste, ma per conoscere la dottrina cattolica sui rapporti tra cristianesimo e ebraismo, occorre andare a ‘catechismo’ dal rabbino Jacob Neusner; mentre per giudaizzare, basta ascoltare le ‘midrash’ di Benedetto XVI. Che strana epoca questa, l’ebreo insegna il catechismo, pur non credendovi, il prete cattolico racconta le midrash, e forse ci crede pure o almeno fa finta di crederci.
●Infine, l’odio per Roma che caratterizza ed accomuna l’ebraismo e il luteranesimo è indicativo. L’alternativa, dunque, è o Roma o morte! Se cade (per assurdo) Roma, trionfano Tel Aviv e New York. Lo stato attuale di abbrutimento dell’umanità è il frutto del dominio giudaico-americanista sul mondo. La salvezza e la restaurazione dell’uomo, della famiglia e della società, sarà il frutto miracoloso del trionfo di Roma “immortale di Martiri e di Santi”! La Madonna a Fatima ci ha promesso: “Alla fine il Mio Cuore Immacolato trionferà!”.
Aurelianus

[1] Nato negli Usa nel 1932. Professore di storia e teologia dell’ebraismo presso il “Bard College” di New York, ordinato rabbino presso il “Jewish Theological Seminary”, è considerato il più grande specialista vivente della letteratura rabbinica antica. Molto interessante il suo Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù. Quale maestro seguire? [1993], tr. it., Casale Monferrato, Piemme, 1996; 2a ed. Un rabbino parla con Gesù, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2007.
[2] J. Neusner, Ebrei e cristiani. Il mito di una tradizione comune, [1991], tr. it., Cinisello Balsamo, San Paolo, 2009, p. 7.
[3] Ibidem, pp. 7-8. Per quanto riguarda il Talmud cfr. Jacob Neusner, Il Talmud. Cos’è e cosa dice, [2006], tr. it. Cinisello Balsamo, San Paolo, 2009.
[4] Ibidem, pp. 159-160.
[5] Ibidem, p. 9.
[6] Ivi.
[7] Ibidem, p. 17.
[8] Ibidem, p. 31.
[9] Ibidem, p. 32.
[10] Ibidem, p. 33.
[11] Ibidem, p. 34.
[12] Ivi.
[13] Ivi.
[14] «I fatti di Auschwitz hanno reso cronico un problema grave e sarà un’azione simile al martirio, da parte degli intellettuali religiosi ebrei e cristiani, affrontare quella sfida […]: dare un senso all’altro» (J. Neusner, cit., p. 158). Vale a dire, pur nella totale diversità tra ebraismo e cristianesimo, si arriverà a capire “il totalmente altro da sé” (il cristiano/l’ebreo e viceversa), solo a partire da Auschwitz o dalla ‘teologia della shoah’. Onde, anche da parte cristiana, non si può prescindere dall’affrontare il fatto, reso oggi meta-storico, della persecuzione che soffrirono molti ebrei in Europa tra il 1942 e il 1945. Tale studio va condotto sia storicamente (fonti storiche, archivi, documenti, fatti acclarati e testimonianze dei libri della storia dell’Europa tra il 1940-45) sia scientificamente (tramite ricerche e sperimenti chimico-fisici e ingegneristici sull’arma del delitto: le camere a gas e i forni crematori ed il corpo del reato: ciò che risulta realmente e oggettivamente nei luoghi della persecuzione) sia filosoficamente (male assoluto/relativo) ed infine sia teologicamente (“olocausto” di una parte dell’ebraismo europeo o Olocausto redentivo di Gesù Cristo). Non ci si può tirar dietro, sotto pena di vedersi ricattati e messi in stato d’accusa su un fatto che non si vuol studiare per vedere quale sia la sua reale entità. Parafrasando S. Agostino: “Si non vis errare, debis velle scrutare.
[15] Ibidem, p. 35.
[16] Ibidem, p. 160.
[17] Ibidem, pp. 162-163.
[18] Ibidem, p. 176.
[19] Ibidem, p. 197.
[20] Ibidem, pp. 43-44.
[21] Ibidem, p. 72.
[22] Ibidem, p. 74.
[23] Ivi.
[24] J. Neusner, cit., p. 110.
[25] J. Neusner, cit., p. 102.
[26] J. Neusner, cit., p. 81. Sui rapporti Roma, cristianesimo e giudaismo, v. M. Goodman, Roma e Gerusalemme. Lo scontro delle civiltà antiche [2007], tr. it., Roma-Bari, Laterza, 2009. L’Autore sostiene che Roma e Israele avrebbero potuto coesistere senza problemi. Tuttavia nel 66 d. C., sotto Nerone, gli abitanti di Gerusalemme avevano rifiutato di andare in processione a salutare due coorti dell’imperatore e fu così che il procuratore romano, Gessio Floro, scatenò le sue truppe contro la folla radunata al mercato superiore della Città Santa e provocò la morte di 3.600 persone. La reazione ebraica fu fortissima e portò alla costituzione di uno Stato ebraico indipendente da Roma, che già nel 37 a. C. ossia circa un secolo prima, aveva occupato la Giudea. Quando Nerone morì nel 68, un generale di nome Tito Flavio, figlio dell’imperatore Vespasiano, che era in quel tempo comandante in campo della guerra in Giudea, adoperò la mano di ferro per reprimere la rivolta ebraica e dopo un anno di lotte, nel 70, distrusse Gerusalemme ed il Tempio. Represse anche le tre insurrezioni in Cirenaica e in Egitto (72) e quella di Masada (73). Qui inizia la parte più interessante del libro (pp. 451-583), non privo di inesattezze e unilateralità, soprattutto riguardo alle origini della disputa tra cristianesimo e giudaismo (pp. 584-666). Già una volta il Tempio di Salomone era stato distrutto nel 586 a. C. da Nabucodonosor di Babilonia, ma nel 539 Ciro di Persia vinse i babilonesi e liberò gli ebrei, che erano stati deportati a Babilonia e consentì loro di rientrare in Gerusalemme e di ricostruire il Tempio; perciò nel 70 i giudei pensavano che sarebbe avvenuto qualcosa di analogo: un Messia trionfante o “Nuovo Ciro”, che avrebbe cacciato i Romani e avrebbe fatto ricostruire Gerusalemme e il Tempio. Molti pii e zelanti o zeloti israeliti, influenzati dalla letteratura apocalittica ebraica, immaginavano e profetizzavano che il “Nuovo Ciro” potesse essere “Nerone redivivo” (cfr. Giuliano Firpo, Le rivolte giudaiche, Roma-Bari, Laterza, 1999). In quel tempo si formò una radicale ostilità ed un feroce odio anti-romano in Giudea e a Gerusalemme, ma Roma non stette a guardare e non concesse ai giudei ciò che era solita concedere a tutti i vinti di religione diversa: costruire o ri-costruire i loro templi. Fu così che il Tempio di Gerusalemme non fu mai più ricostruito, nonostante il triplice tentativo, andato fallito tutte e tre le volte, dell’imperatore Giuliano detto l’Apostata (331-363) cfr. G. Ricciotti, L’imperatore Giuliano l’apostata, Milano, Mondadori, 1956. Tra il 115 e il 116 vi fu una quarta insurrezione giudaica contro Roma, ed infine nel 132-135 con lo pseudo-messia Bar Kobà la quinta ed ultima, poiché Adriano nel 135 rase al suolo quel che restava di Gerusalemme e della Giudea, cambiando il nome di quest’ultima in Syria-Palestina e quello di Gerusalemme in Aelia Capitolina. Né i Germani, né i Britanni, né i Pannoni avevano cessato di avere una patria e una capitale per la loro ribellione; solo i giudei persero l’una e l’altra. Un giornalista del Sunday Times  (Tom Holland) ha scritto che “il XXI secolo è stato forgiato dalla caduta, quasi duemila anni fa, di Gerusalemme” e – aggiungo io – dalla tentata restaurazione di uno Stato ebraico nel 1948, il quale non è ancora posseduto pacificamente, anzi è foriero di una nuova, immane e terribile sciagura, che si addensa sui nostri capi, sotto forma di guerra nucleare, che dall’Iraq si muove verso l’Iran, tramite Usa e Israele.
[27] «Bar Kobà tratta il cielo con arroganza, chiedendo a Dio di non intromettersi […]. Bar Kobà distrusse l’unica protezione di Israele. L’esito fu inevitabile» (J. Neusner, cit., p. 86). Altrettanto dovrebbe dirsi dell’attuale Stato d’Israele, costruito (ma non terminato) per mano d’uomo e non per intervento del Messia.
[28] La letteratura apocalittica ebraica comprende gli apocrifi profetici del Vecchio Testamento (II sec. a. C. – II sec. d. C.) e consiste in una «finzione letteraria, di sedicenti vaticini posteriori agli eventi, che non meritano maggior credito degli oracoli sibillini» (F. Spadafora, Dizionario biblico, Roma, Studium, 3a ed., 1963, p. 41). Essa sorge quando Israele attraversa il suo periodo più burrascoso, dall’accanimento di Alessandro Magno contro lo Jahwismo sino alla distruzione di Gerusalemme con Tito (70) e Adriano (135). Alcuni zelanti Jahwisti sentirono allora il bisogno di rincuorare gli israeliti con delle future promesse per Israele, cercando di mantener viva la sua speranza nonostante il miserevole stato presente. L’apocalittica «si prefigge per alimentare la fierezza giudaica, scossa dalle prove, orientandola alle aurore future. […] Israele sarà liberato e vendicato […] imperare sulle Genti dominate e calpestate» (Antonino Romeo, voce “Apocalittica letteratura”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1948, vol. I, col. 1616). Nel futuro, dopo la caduta del penultimo Impero, che sarebbe Roma, «Israele sarà liberato e vendicato. […]. L’interesse nazionale è teso verso l’agognata conclusione: piomba improvviso Dio nella lotta finale delle Genti contro Israele» (A. Romeo, ivi, col. 1617); «tutto è ristretto al campo nazionalistico e temporale» (F. Spadafora, ivi). L’apocalittica giudaica è una sorta di rivelazione presentata come antica, nascosta ed esoterica (F. Spadafora, p. 42) e, secondo mons. Antonino Romeo, «sfocerà in una sorta di speculazione cabalistica […] e di sincretismo gnostico» (ivi, col. 1625). «È ripiena di odio, spesso feroce, contro i Gentili e di ardente simpatia per Israele» scrive Marie Joseph Lagrange, (Le judaisme avant Jesus-Christ, 2a ed., Parigi, 1931, pp. 70-90). L’apocalittica sfuma nella morbosa attesa della rivoluzione futura, che libererà Israele dalla Roma pagano-cristiana. Ad essa si deve la formazione del più acceso nazionalismo ebraico (F. Spadafora, ivi) e da essa deriverà un certo gnosticismo e il millenarismo (A. Romeo, ivi, col. 1618) con la teoria della mitigazione delle pene per i dannati (cfr. l’apocatastasi di Origene, ripresa tra il 1940 e il 1951, da Hans Urs Von Balthasar + 1984 e Jean Daniélou + 1973, v. sì sì no no, * *), cfr. B. Allo, Apocalypse, 3a ed., Parigi, 1933, pp. XXVI-XXXIV.Mons. Romeo conclude: «Il Regno di Dio riveste un carattere nazionalistico-terreno. […] Il regno sarà di questo mondo. […] mai il Messia è visto come un redentore spirituale, espiatore dei peccati del mondo» (ivi, col. 1618) ed infine: «Verso le Genti gli apocalittici sono spietati e implacabili, ogni compassione sarebbe scambiata per debolezza» (ivi, col. 1619).
[29] J. Neusner, cit., pp. 118-119. Per quanto riguarda i rapporti tra giudaismo talmudico, islàm e cristianesimo, cfr. Hana Zakarias, Vrai Mohammed et faux Coran, Parigi, NEL, 1960; Id., De Moise à Mohammed, Parigi, 1955; J. Bertuel, L’islàm: ses véritables origines, Parigi, NEL, 1983-84, 3 voll.; B. Lewis, La rinascita islamica, Bologna, Il Mulino, 1991; Id., Gli ebrei nel mondo islamico, Firenze, Sansoni, 1991; S. D. Goitein, Ebrei e Arabi nella storia, Roma, Jouvance, 1980; J. Bouman, Il Corano e gli ebrei, Brescia, Queriniana, 1992; R. Barkai, Chrétiens, musulmans et juifs dans l’Espagne médiévale, Parigi, Cerf, 1994.
[30] M. Brenner, Breve storia degli ebrei, Roma, Donzelli, 2009, p. 59.
[31] Id., cit.,p. 60.
[32] Id., cit., pp. 60-61.
[33] Id., cit., p. 65, cfr. anche E. Benbassa – A. Rodrigue, Die Geschicte der sepharadischen Juden, Bochum, 2005; G. Bossong, Die Sepharaden, München, 2008; M. R. Cohen, Unter Kreuz und Halbmond. Die Juden in Mittelalter, München, 2005; dello stesso Brenner, Breve storia del sionismo, Roma-Bari, Laterza, 2002.
[34] Quando si parla di Vaticano II come inaccettabile e da ri-“gettare”, non si intende inglobare in tale constatazione di eterodossia oggettiva la colpevolezza e punibilità soggettiva di chi lo accoglie in buona fede, pensando di obbedire. Così come quando si constata la nocività oggettiva del Novus Ordo Missae e la sua abrogabilità, non si vuole minimamente offendere chi lo celebra in buona fede, in maniera riverente e con spirito di obbedienza, per ignoranza incolpevole delle sue carenze dottrinali. “Non sbraniamoci tra noi” (anti-modernisti), ma andiamo a ri-studiare con attenzione il “Breve Esame Critico del Novus Ordo Missae” con la “Lettera di presentazione” dei cardinali Antonio Bacci e Alfredo Ottaviani: vi si trovano considerazioni severe sulla sua non ortodossia oggettiva e si chiede di abrogarlo in quanto nocivo. Non lasciamoci distrarre dalle polemiche che sorsero, quando lo si volle imporre e si ritenne abrogato il Vetus Ordo, per un abuso di potere, riconosciuto come tale anche da Benedetto XVI (7. VII. 2007). Allora (1976) volarono parole forti, ma pronunciate nel corso di omelie ed ampliate dalla stampa laicista, senza la possibilità di apportare tutte le dovute distinzioni. Non mi sembra corretto prendersela con mons. Marcel Lefebvre, per alcune frasi estrapolate dai suoi sermoni, e vedere nella Fraternità San Pio X il “male assoluto”, come mi sembra puerile la pretesa di alcuni, per fortuna pochi, “tradizionalisti” di scambiare la Fraternità per la Chiesa di Cristo. Anche in questo caso la sana logica condanna il sofisma ex uno disce multis. Parlare di mons. Lefebvre come di un “eversivo chiassoso” non è corretto; chi ha ‘sovvertito, abbattuto o rovesciato’ la liturgia non è stato lui, ma Paolo VI con il Novus Ordo Missae, il quale oggettivamente è “chiassoso” e “si allontana impressionantemente, nel suo insieme come nei particolari, dalla teologia definita dal Concilio di Trento sul Sacrificio della Messa” (“Breve Esame Critico del Novus Ordo Missae”). Tale “Breve Esame Critico” fu presentato nel 1969 a Paolo VI dal card. Alfredo Ottaviani, che lo studiò attentamente e lo fece studiare dagli esperti dell’allora S. Uffizio di cui era Prefetto e vi apportò qualche leggera correzione. Ottaviani non era un ‘sovversivo, distruttore o eversivo’, ma in quanto Prefetto e custode S Congregazione, che si occupava della Fede cattolica, fece notare – come era suo dovere – a Paolo VI che la riforma liturgica da lui proposta era oggettivamente eterodossa e andava abrogata e non promulgata. Paolo VI non rispose, anzi promulgò e ingiunse a mons. Lefebvre di celebrare col “Nuovo Rito”, il quale secondo lui aveva abrogato l’Antico. Mons. Lefebvre ribadì che la “Fede pregata” o liturgia non può essere abrogata, ma va difesa e che l’atto di Paolo VI era un abuso di potere, come S. Paolo il quale “resistette pubblicamente davanti a Pietro quia reprensibilis erat”. S. Pietro accettò la riprensione non eversiva di S. Paolo, Paolo VI no. Il sovversivo è stato oggettivamente Paolo VI. Il “chiasso” non è stato voluto da mons. Lefebvre, ma è stato provocato dall’ingiunzione abusiva di non celebrare più col Rito tradizionale, bensì con il “Nuovo Rito”, il quale non rispecchia più la Fede cattolica sul S. Sacrificio della Messa. Nel “non possumus” di fronte al “Nuovo Rito della Messa” non vi è alcun disprezzo per le persone o giudizio sul “cuore e le reni” del singolo, che “solo Dio scruta”, ma unicamente la fedeltà alla “Fede pregata” di sempre. Il cambiamento o “eversione” (da “ex vertere, cambiamento intensivo”) sono rappresentati oggettivamente dal Concilio pastorale e innovatore e dalla liturgia ecumenista semi-protestante alla cui redazione hanno partecipato pure sei pastori calvinisti, la quale ha portato il “chiasso” che impedisce la preghiera e il raccoglimento nel “Tempio di Dio”. Queste sono considerazioni oggettive e di buon senso pratico, alle quali non si può rispondere con l’accusa di “eversione” conclamata ma non provata (cfr. Brunero Gherardini, Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2009). Occorre fare un discorso serio e non pronunciare accuse gratuite, da qualsiasi parte esse vengano. Tutti possiamo sbagliare, l’importante è non perseverare nell’errore.
[35] Cit., p. 9.
[36] Ivi.
[37] Ivi.
[38] Ibidem, p. 32.
[39] Ivi