lunedì 14 ottobre 2013

A. XAVIER DA SILVEIRA - Sorprendente condanna pronunciata dal Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede

 


23.12.2012 - Arnaldo Xavier da Silveira
Il problema più grande non sta nel sapere se l’assistenza assoluta e senza limiti dello Spirito Santo sia possibile in linea di principio. È chiaro che lo è. In verità, però, Nostro Signore non avrebbe dotato San Pietro, o il Collegio dei vescovi col Papa e in definitiva la Chiesa, di un’assistenza in termini così assoluti. Le vie di Dio non sempre sono le nostre. La barca di Pietro è soggetta alle tempeste. In linea di principio, nulla impedisce che, soprattutto in tempi di crisi, i documenti pontifici e conciliari che non soddisfino le condizioni dell’infallibilità, possano contenere errori e perfino eresie.


Dolce Cristo in terra
1) Non sono sedevacantista. Non lo sono mai stato, nonostante l’uno o l’altro commentatore poco attento abbia preteso di trovare tracce di sedevacantismo nello studio sulla possibilità teologica di un papa eretico, studio che fa parte del mio libro “La Nouvelle Messe de Paul VI, Qu’en Penser?” (Diffusion de la Pensée Française, Chiré-en-Montreuil, Francia, 1975). In relazione ai pontificati degli ultimi decenni, sulla base della buona e tradizionale teologia dogmatica, non vedo come sia teologicamente possibile dichiarare vacante, in qualsiasi momento, la Sede di Pietro (si veda Paul Laymann S.J., +1635, “Th. Mor.”, Venezia, 1700, pp. 145-146; e Pietro Ballerini, “De Pot. Eccl.”, Roma, 1850, pp. 104-105). Se la Divina Provvidenza mi darà la forza, pubblicherò a breve uno studio sugli errori teologici delle correnti teorie sedevacantiste.
2) Per ogni cattolico geloso della sua fede, il Papa è il “dolce Cristo in terra”, è la colonna e il fondamento della verità. Tuttavia, grandi santi, dottori e papi ammettono la possibilità che il Sommo Pontefice cada in errore e perfino nell’eresia. E non può escludersi l’ipotesi teologica che tale caduta si riscontri nei documenti ufficiali del Papa e dei Concilii col Papa (si vedano i capitoli IX e X della parte II de La Nouvelle Messe de Paul VI, Qu’en Penser?, e i miei precedenti lavori lì citati).
Le parole di Mons. Müller
3) Lo scorso 29 novembre, L’Osservatore Romano ha pubblicato un articolo di Mons. Gerhard Ludwig Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ex Sant’Uffizio, dal titolo “Un’immagine della Chiesa di Gesù Cristo che abbraccia tutto il mondo”.
Commentando il discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005, nel quale Benedetto XVI ha dichiarato che il Vaticano II dev’essere oggetto di una “ermeneutica della riforma nella continuità”, a fronte di una «ermeneutica della discontinuità e della rottura”, Mons. Müller scrive che l’interpretazione della riforma nella continuità “è l’unica possibile secondo i principi della teologia cattolica”, e continua: “Al di fuori di questa unica interpretazione ortodossa esiste purtroppo una interpretazione eretica, vale a dire l’ermeneutica della rottura, sia sul versante progressista, sia su quello tradizionalista. Entrambi sono accomunati dal rifiuto del Concilio; i progressisti nel volerlo lasciare dietro sé, come fosse solo una stagione da abbandonare per approdare ad un’altra Chiesa; i tradizionalisti nel non volervi arrivare, quasi fosse l’inverno della Catholica”.
4) Non voglio qui approfondire certi punti di questa dichiarazione, come la questione, già tanto commentata e sviluppata in questi ultimi tempi, dell’“ermeneutica della riforma nella continuità” e dell’“ermeneutica della discontinuità e della rottura”. Né esaminerò la frase in cui Sua Eccellenza dichiara che i progressisti e i tradizionalisti “sono accomunati dal rifiuto del Concilio”. Né tampoco dirò alcunché sul titolo di questo articolo di Mons. Müller ove è presente l’espressione, oggi ambigua e sospetta in tale contesto: “Chiesa di Gesù Cristo che abbraccia tutto il mondo”. E ancora non mi soffermerò sul fatto storico che alla fine, dopo decenni, si ha una condanna del progressismo, condanna che se avesse forza canonica o quanto meno venisse dottrinalmente a sostenere di fatto la vita cattolica e l’insegnamento dei seminari, e costituisse il criterio per le promozioni ecclesiastiche, ecc, sarebbe di buon auspicio e preannuncio di tempi migliori, perché il progressismo sarebbe fortemente proscritto come eretico dal Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.
5) Qui mi limiterò a commentare il passo in cui Mons. Müller dichiara che i tradizionalisti danno al Vaticano II una “interpretazione eretica”. So bene che non si tratta di un decreto della Congregazione per la Dottrina della Fede. So anche che qui non si specifica quali siano le correnti cosiddette “tradizionaliste” condannate, affermando che sarebbero tutte a non accettare incondizionatamente e integralmente il Vaticano II. So, infine, che l’orientamento qui adottato da Mons. Müller in relazione ai tradizionalisti e ai progressisti non è quello dominante in molti circoli vaticani e soprattutto non è quello di Benedetto XVI. Tutto questo, però, non impedisce che le sue parole abbiano una grande importanza.

Della gravità estrema di questa condanna
6) Non si minimizzi, infatti, la forza di questa condanna. La logica impone che chi interpreti ereticamente un Concilio Ecumenico sia un eretico. Né si dica che la cosa non sarebbe rilevante perché non si tratta di una condanna canonica formale. È di per sé grave che il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede abbia detto ciò che ha detto. È grave che per pronunciare un primo anatema contro i tradizionalisti, egli si rifugi dietro il paravento del “doctor privatus”, poiché, se il male è così enorme, come interpretare in senso eretico un concilio ecumenico, non dovrebbe essere la Santa Chiesa a pronunciarsi ufficialmente? Non si tratterebbe di un dovere di tutti i “custos fidei” nei confronti del popolo fedele? Inoltre, c’è da temere che da adesso in poi tali modi di pensare e di agire contrassegneranno le procedure della Congregazione per la Dottrina della Fede.
7) Come insegna San Tommaso d’Aquino, “l’eresia si contrappone alla fede” (S. Th. II-II, q. 39, a. 1, ad 3), e sono eretici “coloro che professando la fede di Cristo, ne corrompono i dogmi” ( S. Th. II-II, q. 11, a. 1, c). “La fede è la prima delle virtù” (S. Th. II-II, q. 4, a. 7, c), “è ben più grave corrompere la fede, in cui risiede la vita delle anime, che falsare il danaro, con cui si provvede alla vita temporale” (S. Th. II-II, q. 11, a. 3, c).
8) Della portata della condanna. Il mondo moderno ha perso la nozione di fede, come ha perso la nozione della gravità dell’eresia. L’integrità della fede è il punto di partenza della vita cattolica. L’eretico formale non possiede la virtù teologale della fede e quindi è escluso dalla Chiesa. La condanna di Mons. Müller è espressa in termini generici e sintetici. Data l’importanza della materia, le persone che ne sono colpite hanno il diritto di chiedere che siano esplicitate la portata e le conseguenze teologiche, canoniche e pratiche dell’anatema, anche solo “in sede theoretica”, se esso fosse valido.
La deviazione teologica fondamentale di Mons. Müller
9) Testo di Mons. Müller sul magistero. – Nella stessa citata dichiarazione, Mons. Müller afferma che è principio della teologia cattolica “l’insieme indissolubile tra Sacra Scrittura, la completa e integrale Tradizione e il Magistero, la cui più alta espressione è il Concilio presieduto dal Successore di San Pietro come Capo della Chiesa visibile”.
10) Il presupposto della condanna dei tradizionalisti sta quindi, secondo Mons. Müller, nel fatto che non si possa avere errore o eresia in un documento magisteriale, sia pontificio sia conciliare, nemmeno in quelli che non soddisfano le condizioni dell’infallibilità. Infatti, nel proclamare il carattere indissolubile dell’unione tra Sacra Scrittura, Tradizione e Magistero, egli dimostra di concepire quest’ultimo come fosse garantito contro qualsivoglia errore o eresia. Inoltre, evitando di parlare semplicemente di Tradizione, ma qualificandola come “completa e integrale”, Sua Eccellenza sottintende che la Tradizione includa gli insegnamenti conciliari, nonostante non siano garantiti dal carisma dell’infallibilità; e che includa quindi le “novità di ordine dottrinale” (vedi il seguente n° 13) del Vaticano II, che in tal modo avrebbero forza di dogma, potendo essere messe in dubbio o negate solo dagli eretici.
Il Vaticano II e l’infallibilità della Chiesa
11) Magistero straordinario? Secondo il Vaticano I, il Papa è infallibile quando, insegnando alla Chiesa universale in materia rivelata di dogma o di morale, definisce solennemente una determinata verità che dev’essere creduta dai fedeli. In conformità con la dottrina fissata dai dottori, queste condizioni dell’infallibilità papale si applicano, mutatis mutandis, ai Concili Ecumenici, le cui definizioni infallibili devono quindi comportare per i fedeli l’obbligo di professare le dottrine ordinecosì proposte. Ora, Paolo VI dichiarò ripetute volte che nel Vaticano II non fu proclamato alcun nuovo dogma del Magistero straordinario. Cosa che i teologi di buona dottrina hanno anch’essi affermato in modo esauriente. Ciò posto, è alquanto inquietante per il fedele comune, e inaccettabile per un pensatore cattolico, il fatto che Mons. Müller pretenda che nel Vaticano II non possa esserci alcuna deviazione dottrinale. Su cosa si baserà in materia il pensiero del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede?
12) Magistero ordinario infallibile? Secondo il Vaticano I, è ugualmente infallibile il “Magistero ordinario e universale”. Con esso la Chiesa, nel suo insegnamento quotidiano, dovendo imporre una verità che deve essere creduta, deve farlo, non solo per il mondo intero, ma in continuità nel tempo, in modo tale che risulti chiaro ad ogni fedele che quella verità fu rivelata e deve essere professata se non si vuole incorrere nell’abbandono della fede. In questo contesto, il concetto di “universale” non sempre è correttamente interpretato, ma vi è chi lo intende come se indicasse solo un’universalità spaziale, cioè relativa al mondo intero. Secondo questo modo di vedere, tutti gli insegnamenti del Vaticano II sarebbero infallibili perché approvati solennemente dal Papa con l’unanimità morale dei vescovi di tutto il mondo. In verità, dei singoli atti magisteriali del Papa o del Concilio, come è stato il caso del Vaticano II, non possono definire dei dogmi del Magistero ordinario in mancanza della continuità temporale e della conseguente impositività che vincolerebbe in modo assoluto la coscienza dei fedeli.
13) Le “notivà di ordine dottrinale” del Vaticano II – Il 2 dicembre del 2011, Mons. Fernando Ocáriz, Vicario Generale dell’Opus Dei e professore di teologia, pubblicò su L’Osservatore Romano un articolo intitolato: “Sull’adesione al concilio Vaticano II”. In esso si legge: “Nel concilio Vaticano II ci sono state diverse novità di ordine dottrinale (…): alcune di esse sono state e sono ancora oggetto di controversie circa la loro continuità con il magistero precedente, ovvero sulla loro compatibilità con la tradizione”. E in seguito Mons. Ocáriz riconosce che: “Di fronte alle difficoltà che possono trovarsi per capire la continuità di alcuni insegnamenti conciliari con la tradizione, (…) rimangono legittimi spazi di libertà teologica per spiegare in un modo o in un altro la non contraddizione con la tradizione di alcune formulazioni presenti nei testi conciliari e, perciò, di spiegare il significato stesso di alcune espressioni contenute in quei passi”. Si noti la diversità di tono tra questo testo e la condanna pronunciata da Mons. Müller, nonostante Mons. Ocáriz dica anche che “una caratteristica essenziale del magistero è la sua continuità e omogeneità nel tempo”.
Il 28 dicembre dello stesso anno ho pubblicato sul mio sito un articolo intitolato “Grave lapsus teologico di Mons. Ocáriz”, nel quale ho sostenuto, come nei miei lavori precedenti, che “Gesù Cristo potrebbe aver dato a San Pietro e ai suoi successori il carisma dell’infallibilità assoluta. (…) Ma il problema non consiste nel sapere se l’assistenza dello Spirito Santo sarebbe possibile in linea di principio in presenza di tale potere assoluto e generale. È chiaro che lo sarebbe. Fatto sta, però, che Nostro Signore non ha voluto conferire a San Pietro, al collegio dei vescovi col Papa, in definitiva alla Chiesa, un’assistenza in termini così assoluti. Le vie di Dio non sempre sono le nostre. La barca di Pietro è soggetta alle tempeste. In sintesi: la teologia tradizionale afferma che risulta dalla Rivelazione che l’assistenza dello Spirito Santo non fu promessa, e quindi non fu assicurata, in forma così illimitata, in tutti i casi e le circostanze. Questa assistenza garantita da Nostro Signore copre in modo assoluto le definizioni straordinarie, tanto papali quanto conciliari. Ma le grandi opere teologiche, specialmente dell’età d’argento della scolastica, insegnano che nei pronunciamenti papali e conciliari non garantiti dall’infallibilità, possono esserci errori e perfino eresie”. Questo è quanto riaffermo oggi.
Tre rispettose domande a Mons. Müller
14) Professione di fede cattolica. - Alla luce del richiamato testo del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, chiedo che egli accetti la professione di fede che qui esprimo in tutto quello che autenticamente insegna la Santa Chiesa nei suoi dogmi del Magistero straordinario papale o conciliare, e nei dogmi del Magistero ordinario e universale. Affermo la mia piena accettazione delle altre verità della dottrina cattolica, ognuna con la qualificazione teologica che i dottori tradizionali le hanno attribuita. E respingo come teologicamente inconcludente e faziosa l’accusa che riduce ad eresia l’attaccamento alla Tradizione.
15) Del senso e della portata della condanna. – In considerazione della necessità di precisione in un atto di questa portata teologica, qual è una condanna anche solo in sede dottrinale di una corrente di pensiero molto rispettata nel mondo intero, chiedo a Mons. Müller che indichi meglio la portata teorica e pratica del suo anatema, secondo le osservazioni del precedente punto 8. Nel formulare questa domanda, ho anche in vista la salvezza delle anime semplici, che abbracciano con fede piena i dogmi della transustanziazione, della verginità di Maria, prima, durante e dopo il parto, e tutti gli altri, ma che non hanno accesso alle distinzioni teologiche sottili, e che potrebbero vedere scossa la propria fede dalla notizia che il Prefetto dell’antico Sant’Uffizio abbia dichiarato che i tradizionalisti, indistintamente, sarebbe eretici.
16) Della possibilità di errore nei documenti del Magistero. – Come fedele cattolico, che consapevole l’autorità dei Dicasteri vaticani, e anche come autore di scritti che vantano non pochi lettori, per i quali mi sento responsabile in qualche modo di fronte a Nostro Signore, ritengo di avere il pieno diritto di chiedere filialmente al Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, che dichiari, in modo formale, chiaro e specifico, se è falsa la tesi che ho difeso nei miei lavori succitati, tesi che difendo anche ora e in base alla quale è teologicamente possibile l’esistenza di errori e perfino di eresie nei documenti pontifici e conciliari che non assolvono le necessarie condizioni per l’infallibilità.
17) In questa vigilia del Santo Natale, invocando il Divino Bambino, la Sua Santissima Madre e San Giuseppe, patrono della Chiesa universale, formulo pubblicamente queste considerazioni e queste domande per legittima difesa e cum moderamine inculpatae tutelae, e le formulo pubblicamente dal momento che l’aggressione subita è stata pubblica.
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Traduzione: Inter multiplices UNA VOX
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV381_Sorprendente_condanna.html

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